Nell’ottica di promuovere giovani talenti e voci del mondo del design ed aprire lo spazio di Park Hub ad attività in grado di ispirare il lavoro di progettazione dello studio, Park Associati nell’ottobre 2018 ha lanciato la prima edizione del bando per giovani designer per esporre un proprio lavoro al pubblico internazionale della Milano Design Week 2019.

Il bando, rivolto a designer under 30, aveva l’obiettivo di accogliere nello studio forme progettuali innovative, dinamiche, non convenzionali in grado di dare un’interpretazione contemporanea del mondo del design. Le candidature sono state valutate da una giuria composta da Virginio Briatore, scrittore e teorico del design, dal designer Philippe Nigro, dai due soci fondatori di Park Associati, Filippo Pagliani e Michele Rossi e dalla senior interior designer di Park Associati, Alexia Caccavella.

Così Park Associati ha ospitato il progetto vincitore “INSECURE: Public Space in The Age of Big Data”, installazione di Žan Kobal e Weixiao Shen curata da Virginio Briatore.

Monitors display a video showing facial recognition software in use at the headquarters of the artificial intelligence company Megvii, in Beijing, May 10, 2018. Beijing is putting billions of dollars behind facial recognition and other technologies to track and control its citizens.                                                          (Gilles Sabriè, The New York Times)

Selezionato tra candidature provenienti da oltre 25 paesi, INSECURE è stato proposto dall’intrigante duo proveniente dalla Design Academy di Eindhoven. Žan Kobal, sloveno di 26 anni, e Weixiao Shen, cinese di 23 anni, hanno iniziato la loro collaborazione all’interno delle mura della Design Academy. Sperimentando con diversi materiali ed approcci al design, i due combinano i loro diversi background per riflettere sulle più pungenti questioni contemporanee.In INSECURE i due designer indugiano nella visione di un futuro orwelliano in cui una dittatura digitale porta alla morte dello spazio pubblico, alla limitazione della privacy individuale e ad una società controllata. Il progetto mira a sfidare lo status quo dei sistemi di sorveglianza, modificandone la natura dal loro nucleo centrale: la telecamera di sorveglianza. Sovvertendo il comportamento freddo, silenzioso ed immobile della fotocamera, l’installazione crea un percorso di consapevolezza che intende favorire il coinvolgimento critico ed avviare una discussione sulle norme di sicurezza negli spazi pubblici.

Il comportamento “insicuro” delle telecamere che si oppone allo scopo principale di mantenere la sicurezza dichiarato dai sistemi di ripresa mira a suscitare una reazione in grado di smuoverci dallo stato di indifferenza verso le loro presenze ormai ingombranti. L’installazione spinge a riflettere sulla reale funzione delle telecamere, aprendo la possibilità di considerarle uno strumento in mano alle autorità che le controllano e che in tal modo governano anche lo spazio pubblico in cui risiedono.Parte di Porta Venezia in Design, la mostra INSECURE ha offerto l’opportunità di riflettere sugli spazi comuni, sempre più “privatizzati” in nome della sicurezza, e su come la loro proliferazione configuri dei campi di prova per definire quale sia un comportamento pubblico accettabile – e inaccettabile, un modo per sorvegliare più da vicino la popolazione domestica. In ultima istanza, lo spettatore può chiedersi se è possibile sfuggire da questo controllo e come può proteggersi.

 

NOTA DEL CURATORE

Dalle parole di Virginio Briatore, filosofo del design ed un osservatore dello stile contemporaneo, curatore del progetto:

Nell’universo conosciuto non vi è nulla di più espressivo e complesso del genere umano.
Della meravigliosa macchina corporea la testa è il vertice e l’emblema. E di ogni testa ciò che attrae è il volto.
Il volto umano.
Il Vecchio Volto di Pietra di cui scrive W.B.Yeats, che nell’antichità ha riprodotto l’effige di miti, dei e cesari.
La Sindone del Cristo.
I ritratti e gli autoritratti con cui per secoli gli umani hanno affidato all’arte il compito di tramandare l’illusione di una permanenza. La Monna Lisa di Leonardo in cui il volto umano s’inquadra perfettamente con la Sezione Aurea.

Non solo il viso risponde a queste leggi ma ogni dettaglio facciale rivela le stesse proporzioni: la bocca e il naso sono ognuno disposti a distanza di Sezione Aurea dagli occhi e dal mento; la distanza delle pupille dal punto più largo del naso; la distanza fra occhi e sopracciglia e la distanza fra pupille e punta del naso.
Per arrivare all’odierna evanescente profusione di selfie che moltiplicano a milioni il bisogno di far vedere la propria faccia.

Noi siamo il volto. Ci mettiamo la faccia. L’unica che abbiamo.
Ma oggi non ci appartiene più.
Catturati e inquadrati dai sistemi di riconoscimento facciale – occhi, naso, bocca, capelli, incarnato ed espressioni varie sono strumenti di mercificazione e di controllo poliziesco.
Ci siamo svenduti con i selfie e ci hanno incasellato con le telecamere di dubbia sicurezza.
La tecnica corre veloce e la meravigliosa invenzione del WEB che compie trent’anni non è esattamente il sogno di libertà originaria, come ci ha ricordato in questi giorni Tim Berners Lee.

Quanto sta accadendo lo capiranno meglio le generazioni future.
Ma noi ci siamo dentro. Fino al collo. Anzi con tutta la testa.
Per questo ringrazio Park Associati e due giovani pensanti di aver scelto e proposto un tema appassionante, che ci riguarda tutti e forse non solo negli spazi pubblici.

I vincitori della Design Call voluta da Park Associati sono belli, di una bellezza fragile, intensa e hanno menti vivaci. Ventisei anni lui, Žan Kobal, sloveno, ventitré lei, Weixiao Shen, cinese, esponenti di due antiche culture che il design ha fatto incontrare al primo anno di un Master il cui corso si chiama Contextual Design, presso la ben nota Design Academy Eindhoven.

Se sia arte o design non interessa, questione annosa e noiosa.
Loro dicono che l’arte nasce da un’ispirazione e il design da un’intenzione e in ogni caso non sono interessati ad esprimere se stessi, ma a proporre un’esperienza, alimentare dubbi e chiedere ad ognuno di porsi delle domande.
Soluzioni non ne hanno e al momento non le ha nessuno.
La loro installazione è un teatro della conoscenza, un design della consapevolezza.