Abbiamo partecipato a una lecture del type designer Peter Bil’ak alla SPD Scuola Politecnica di Design, che ci ha aperto gli occhi sul design del carattere tipografico: un aspetto della progettazione a cui raramente facciamo caso ma che, a ben vedere, permea ogni ambito della nostra vita, e sul quale Bil’ak ha operato un’interessante riflessione riguardo alla differenza quasi matematica tra ciò che al nostro occhio appare bello o brutto. Il risultato è Karloff (spiegato nel video a destra) che mostra come la differenza tra un carattere attraente e uno repellente risieda in un singolo parametro: il contrasto tra la linea sottile e quella spessa. Per capire meglio Karloff e la sua attività di type designer, abbiamo fatto a Bil’ak alcune domande. Designspeaking: Come spiega la sostanziale, eppure così sottile, differenza tra bellezza e bruttezza teorizzata da Karloff? Peter Bil’ak: Nonostante l’idea di bellezza sia personale e soggettiva, nell’ambito del type design molti concordano che i caratteri creati da Giambattista Bodoni siano oggettivamente belli, espressione di eleganza, ordine e simmetria. Viene da sé che la bruttezza derivi dal sovvertire le regole di Bodoni: lo ha fatto l’Italian, carattere sorto a metà della rivoluzione industriale, deliberatamente disegnato per attrarre l’attenzione del lettore destabilizzando le sue aspettative con un semplice trucchetto: linee spesse al posto di quelle sottili e viceversa. Karloff mostra esattamente quanto stretta sia la connessione tra bellezza e bruttezza. DS: Nel design tipografico esiste un’assoluta libertà creativa o ci sono dei parametri fissi a cui conformarsi? PB: L’occhio umano non cambia, dunque le forme del type design sono soggette alle leggi base dell’ottica, come distanza di lettura, grandezza dei caratteri, lunghezza della frase, ecc. Se si guarda all’evoluzione dell’alfabeto latino dal 200 a.C. a oggi, si vede quanti pochi progressi sono stati fatti. Di solito ogni cambiamento tecnologico ispira i type designer ad approfittare delle nuove possibilità. Non è una libertà assoluta, ma un eccellente type designer trova il modo di creare qualcosa di mai fatto prima. DS: Nel trend attuale il graphic design sembra aver dimenticato chiarezza e semplicità in favore di un look retrò. Si tratta di una disciplina ciclica che segue le mode o, per un’efficace comunicazione, la strada gusta è sempre la stessa? PB: Come nella musica o nel cinema, nel design non c’è un solo stile dominante. Se qualcosa fa parte di una moda, è destinata ad avere vita breve. Io credo fermamente che la comunicazione efficace esista al di là delle mode: è uno scambio fondamentale tra lettore e autore. DS: Cosa ha studiato, e come si è avvicinato alla sua attività professionale? PB: Ho cominciato i miei studi all’Accademia di Belle Arti, dopo ho fatto un master a Parigi all’Atelier National de Recherche Typographique. Da lì il mio percorso è proseguito in Olanda, dove ho passato due anni alla Jan van Eyck Academy, al dipartimento di Design. Nel 2001 ho iniziato la mia compagnia, uno studio in cui facciamo web design, curiamo mostre, progettiamo libri e font, editiamo riviste. Recentemente molta della nostra attività viene iniziata spontaneamente, senza aspettare la chiamata del cliente, ma facendo cosa crediamo sia un lavoro rilevante.