Lo studio Makkink & Bey, fondato a Rotterdam dall’architetto Rianne Makkink e dal designer Jurgen Bey nel 2002, fa parte di quelle professionalità che si approcciano al design col piglio dell’artista, pur mantenendo l’aspetto industriale che contraddistingue il prodotto. È il risultato di un team costruito rubando da diversi campi di conoscenza, che portano a operare dal singolo prodotto alla larga scala di un’architettura o di uno spazio urbano. Dalla mostra Living Spaces, al TextielMuseum di Tilburg, in cui gli arredi iconici dall’art nouveau agli anni 70 creavano una riflessione silenziosa sul design, si passa, sempre al TextielMuseum, al design di come potrebbe essere il futuro dell’interior, con Huisraad: oggetti dove la multifunzionalità è raggiunta con l’uso del tessile e di fibre animali, sfruttandone le proprietà intrinseche. E ancora performance artistiche, architetture futuristiche, un lavoro incessante espressione di una visione quanto mai contemporanea di una creatività che comprende ogni aspetto della progettazione.

Per capire che tipo di personalità si approccia a un lavoro del genere, abbiamo fatto qualche domanda al socio fondatore Jurgen Bey.

DS: Come si è avvicinato al mondo del design e della progettazione?

JB: Non sono uno di quelli nati con l’urgenza di creare o progettare. Da piccolo volevo diventare un veterinario, o un astronauta, esattamente come tutti i bambini. È stata la scuola ad aprirmi gli occhi e soprattutto la mente. Ho studiato alla Design Academy di Eindhoven, e una volta che ho iniziato a creare qualcosa di bello ho capito le potenzialità degli strumenti che avevo tra le mani.

DS: Qual è, nella contemporaneità, il ruolo del designer?

JB: Trovo che non si possa affibbiare a un creativo un ruolo preciso…più che altro una missione. Quando nell’89 mi sono laureato, dovevo spiegare a chiunque cosa facesse un designer. Adesso la bellezza è alla portata di tutti, la disciplina è aperta ad ogni tipo di sperimentazione, e il designer deve abbracciare questa apertura e perpetuarla.

DS: I suoi progetti sono al confine con l’opera d’arte. Qual è il fine che persegue con essi?

JB: Non sono d’accordo, non sono un artista, ma un product designer vero e proprio. L’industria è una parte fondamentale del mio lavoro, non punto a creare qualcosa di unico nel senso stretto del termine. Però è vero che ogni cosa ha il suo contesto, sul quale cerco di riflettere e di dare la mia interpretazione.

DS: Com’è la sua casa? Qual è il suo angolo preferito?

JB: L’appartamento in cui vivo deluderebbe molti, è uno spazio piccolissimo ma comodo per me che sono sempre fuori. La mia vera casa è in campagna, dove trascorro il weekend, a contatto con la natura. Mi piace però avere uno spazio tutto per me, per leggere o lavorare di notte…tutto ciò che mi serve è un angolo, una sedia e una piccola luce.