L’architettura può essere fatta di poco, di molto poco, purché questo poco sia tutto quello che gli uomini devono avere per non dimenticarsi di essere uomini e nient’altro. Nient’altro che questo”. Non stupisce che Paolo Demo, architetto, designer e artista dalla personalità poliedrica, che combina il know-how, le ambizioni e le ossessioni delle tre discipline, introduca i propri progetti con una celebre citazione citando Ettore Sottsass jr, uno dei più grandi tra gli architetti postmoderni italiani.

La poetica di Demo fa della varietà e della continua sperimentazione formale un fattore di positiva apertura mentale, contrapponendola alla ricerca di una coerenza assoluta, che spesso inibisce e soffoca la creatività.

Come Sottsass, Demo costruisce forme in libertà e, così facendo, suggerisce possibili significati. Nelle sue ceramiche permane sempre un’ambiguità di fondo, un’allusività che permette a queste composizioni di prestarsi a infinite letture. All’osservatore è delegato il compito di costruire un suo personale racconto. Tutte le sue creazioni sono accomunate da colori sgargianti, da superfici lucide e da curve morbide, come in un’ostentata dichiarazione di ottimismo e spensieratezza, anch’essa memore delle atmosfere postmoderne.

Tratto da “Le macchine che vincono la morte” di Alessandro Benetti AreaArte n. 24 INVERNO 2015/2016 – Martini Edizioni

Il dialogo tra argilla e tecnologie di finitura ad oggi ancora sconosciute al mondo della ceramica di design, si sviluppa in un ideale racconto di sublimazione tra terra e metallo, antico e contemporaneo, cambiandone il disegno e reinterpretandone le linee essenziali. Paolo Demo è uno sperimentatore ed è il primo ad aver applicato la tecnica del PVD Physical Vapour Deposition alla ceramica di grandi dimensioni. Nascono, per i collezionisti, due serie di contenitori in ceramica in edizione limitata, firmati e numerati.

Da centinaia di anni, nelle nostre case la ceramica è detentrice di valori familiari e di ricordi fortemente legati alla nostra storia. La ceramica tramanda sempre un messaggio di valore, perché è dal valore d’uso, come da quello simbolico e affettivo, che giustifica da sempre la propria presenza e autonomia negli spazi dell’abitare.

I vasi Echoes Mirror Chrome Series in ceramica e acciaio cromato, personalizzabili anche in platino o argento grazie alla specchiatura, riflettono l’ambiente circostante.

Sono il risultato di uno studio intrapreso sul disegno della ceramica e il significato che ha assunto nel tempo, da quando nei tempi antichi le terrecotte assolvevano funzioni tipiche di contenimento e conservazione dei cibi, delle essenze e delle spezie, di olii e ceneri. Con Echoes la ceramica ritorna nella domus contemporanea come simbolo funzionale e formale, testimone di una cultura complessa quanto antica ma non per questo superata.

Tales of the Factory Carbonblack è invece memoria della fuliggine che sa di storia e industria, quella delle fabbriche dove tutto si trasforma. L’aria del lavoro, delle albe e dei tramonti dove le lunghe ombre delle ciminiere e dei capannoni proteggono i pensieri di chi si muove e produce. La ceramica a smalto nero opaco monocomponente e micro inerti parla la lingua del fumo, della sospensione della materia nell’aria e degli odori delle fabbriche, un profumo quasi tattile, perché la fuliggine e la terra ricoprono le cose donando un velo di gioiosa malinconia.

Per Demo Ceramics, Markandré alias Marco Pilotto e Andrea Rinaldi, interpreta con le fotografie in diretto positivo Fotografia analogica le ceramiche dell’intera collezione viaggiando per spiagge, campagne, terre arse, fiumi, facendosi portare dapprima dai venti di fine inverno, per poi ‘mirare’ agli interni, costruendo evocative realtà gestuali attorno a splendide donne e bambini, azioni spontanee che ruotano attorno ai pezzi e allo stupore da essi stessi creato. Come in una matrioska di interpretazioni, le loro tecniche di fotografia analogica costruiscono scenari luminosi che riportano alle atmosfere delle pellicole originarie, di cui loro sono maestri e interpreti, dell’istantanea che ferma la luce e ne amplifica il messaggio evocativo, lasciando aperte le porte ad altre interpretazioni quanti sono i nostri ricordi, le nostre memorie, che affiorano grazie al loro sapiente sguardo.