LVMH Prize è il riconoscimento che il Gruppo, sotto il quale si riuniscono i principali marchi del lusso mondiale, dedica ai giovani designer della moda, dotati di talento innovativo e sui quali vale la pena di investire. Il premio è andato quest’anno al canadese Thomas Tait, che si è aggiudicato la somma di 300.000 euro ma, forse ancor più importante, il supporto che un team dedicato di LVMH garantirà allo stilista per un anno. Una giuria composta dai giganti della moda, composta da Nicolas Ghesquière (Louis Vuitton), Marc Jacobs, Karl Lagerfeld (Fendi), Humberto Leon (Kenzo), Phoebe Philo (Céline), Raf Simons (Dior) e Riccardo Tisci (Givenchy): tutti concordi nell’aiutare il giovane Tait nello sviluppo della sua maison. Tra i finalisti, l’unico italiano presente era Gabriele Colangelo: un’estetica sofisticata, non facile a livello commerciale, che fa pensare. Citando le parole che Federico Poletti, giornalista di moda, fashion curator e grande scout di giovani talenti, ha scritto su Dblog, “In Italia non esiste un analogo del British Fashion Council, che supporta economicamente la new wave inglese. Non ci sono molti concorsi o premi che offrono cospicui premi in denaro, a parte la sempre osannata “visibilità” con la quale non si producono le collezioni. Eppure il fenomeno degli “emergenti” è diventato di moda. Ora le aziende guardano più spesso ai giovani per rinfrescare i brand più impolverati o per capsule collection che possano portare nuova linfa vitale e commerciale. L’Italia in tutto questo deve iniziare a pensare ad una strategia di sviluppo con i propri talenti.” Uno spunto di riflessione notevole, e forse un monito all’azione concreta nel coltivare la qualità dei talenti italiani e staccarsi dalla logica del “tutto e subito” per uno sguardo più lungimirante al futuro.