TUTTA COLPA DEL COVID!

UN CASTELLO DI CARTE CHIAMATO SISTEMA MODA

A seguito dei vari ripensamenti e mea culpa di una moda non più sostenibile e diremmo anche incomprensibile, date le schizofreniche dinamiche di un mercato più che saturo di mercanzie varie, si sente l’esigenza di una buona dose di schiettezza finora celata per rispetto al potere dei brand.

Rallentare, ricordare, riqualificare, prodotto, rapporti umani e professionali, senso delle cose.

Jean Patou vs Jean Patou

Tutto ciò a causa di un virus che nella sua invisibilità di bug biologicamente modificato, per natura o tecnologia sprovveduta, ha da solo causato il crollo del castello di carte chiamato Sistema Moda.

Cos’è andato storto? Com’è stato possibile un default dopo soli tre mesi di lockdown, sette mesi per la Cina, tra smentite e denunce poi ritrattate? La corsa era troppo veloce, si sapeva da tempo, dopo che nel 2015 il docu-film The True Cost ne denunciava i misfatti. E la plastica che inquina fiumi e oceani? Gli anticrittogamici che avvelenano l’ambiente? Gli allevamenti intensivi che ammalano animali e uomo? Il CO2 a livelli intollerabili?

Un mondo malsano che pensa in modo altrettanto nocivo. Non lasciamo andare nulla, non ci piace rinunciare a nulla. Ma il Covid-19 non c’entra.

Mugler vs Thierry Mugler

Così accade anche per i brand moda accumulatori seriali, fagociti di quel tessuto storico di nomi ormai noti solo a chi ha conservato la facoltà della memoria e della conoscenza. La realtà è che nella confusione che si è generata tra i valori da considerare prerogative genetiche del Fashion Sapiens degni di essere tramandati alle future generazioni, non si prende in considerazione il nocciolo del problema, avere il senso del limite. Rara prerogativa che come scriveva Jean Luc Goddard “è il margine che da il senso alla pagina bianca”, sembra non riguardare gli investimenti multimilionari dei CEO che contano.

Paco Rabanne vs Paco Rabanne

Ma l’avvedutezza non è affare degli uomini dei numeri, quelli che venderebbero comunque pur di non sacrificare un euro di fatturato, pronti a smentirsi in un piagnisteo medioevale (citazione gucciana recente). Quello che sorprende chi, come me, ha conservato un po’ di senno e di onestà intellettuale, è la prevedibile ignoranza della Storia della Moda, le scelte ambigue e repentine, l’avvicendarsi alle direzioni creative.

La verità è tranchant: i geni della Moda non sono interpretabili. Come si può pensare ad una prosecuzione senza il fondatore della Maison, come può esserci la stessa visione quando la vita creativa si riduce per tutti ad una manciata di anni d’oro, irripetibili, unici?

Balenciaga vs Cristóbal Balenciaga

Soltanto chi non comprende quel raro e fugace momento di genio potrebbe scambiare la magia con il fatturato. Talenti nuovi adoperati per resuscitare cadaveri. Sì questo sono diventati i grandi nomi della Moda, oggetti vuoti da riempire più volte a favore di un indotto ancora produttivo.

E allora si apre la danza grottesca di stilisti star e dei loro agenti, non per amore della Moda ma per il guadagno incondizionato. Le abbiamo viste tutte.

Dior vs Christian Dior

Dai talenti come Galliano da Christian Dior, forse il solo perfettamente in sintonia col brand, di Antonio Marras da Kenzo, quasi una propaggine del sentimento romantico del maestro nipponico, alle inutili acrobazie di Krizia o di Balmain, Balenciaga, Lanvin, Versace, Ferrè, Romeo Gigli, Mila Schon, Lancetti, Celine o ancor peggio Azzedine Alaïa, Capucci, Jean Patou, Courrèges, Paco Rabanne, Halston, Schiaparelli…

Krizia vs Krizia

La lista è assai lunga. E dunque ci si chiede che senso ha creare un nuovo racconto se la testa non è più quella?

Perché accostarsi a quel genio di Halston, ai suoi abiti di sole cuciture ripiegati come origami e ridurlo ad un drappeggio, ad uno sbieco indossato da Liza Minnelli.

Halston

O le silhouette di Thierry Mugler ma così pure la famosa aragosta di Schiaparelli, tristemente stampata su un abito: tutto perde di senso e il crostaceo non trova una tavola adeguata su cui dare sfoggio della sua prelibatezza, ma un contesto povero di gente troppo affamata.

Schiapparelli vs Elsa Schiapparelli

Ci si rende conto che Emilio Pucci era solo una stampa e che Roberto Cavalli non era solo una stampa. Che ridefinire i canoni di una genialità non ha alcun senso, nemmeno nella sua riattualizzazione.

Emilio Pucci

Emilio Pucci

Ci serve il coraggio di Gino De Dominicis che non ammetteva la documentazione delle sue opere, poiché oggetto creativo del documentarista. La tecnologia e il progresso ci hanno portato – oltre che il razzismo e il concetto di indifferenziato – anche la sua conseguenza, il “tutto è possibile”.

Aperta la via allo spettacolarismo puro e semplice, ogni cosa diventa degna di menzione, apparire fondamentale. L’abito precedentemente costruito evapora in tanti rivoli di “unicità qualunque” e gli illuminati influencer, inventati per sbarcare il lunario, sono privi di qualsiasi competenza sartoriale, figuriamoci poi di quella certa sensibilità sulle significanti sfumature delle palette.

Azzedine Alaïa vs Azzedine Alaïa

L’abito non esiste più, il processo creativo nemmeno. Così si perdono i nomi nuovi, le menti fresche,  lasciandole arroventare in produzioni perverse prive di appeal e spesso persino di mercato. E, con queste, quel senso imprenditoriale che nasce dalla passione e dalla lungimiranza, nonché dalla conoscenza della Storia. Chi vede tra i giovani creatori solamente un modo per ovviare alla pochezza della propria visione dovrebbe fare abbigliamento, non Moda.

Lanciare un nuovo nome, una nuova visione, non è solo un investimento ma una conditio sine qua non, perché la Moda rinasca e ritorni ad esprimere un chiaro concetto di futuro, ricollocandosi in quella sfera da cui i bravi manager e una stampa compiacente l’hanno sottratta.

Alessandro Turci speaking

 

Studi in Giurisprudenza all’Università di Torino e interessi tra Moda e Arte Contemporanea. Fashion Designer e Art Director per marchi internazionali, Alessandro Turci fonda a Milano nel 2012 Risekult, Associazione Culturale per l’Arte Contemporanea e pubblica l’Art Book Risekult libro d’eccellenza per collezionisti. Curatore di mostre d’arte, collabora con gallerie e musei. Contributing Editor per L’Officiel Homme e Thesignspeaking con rubriche su Arte e Moda.