Si è appena conclusa la settimana della moda milanese, dedicata a ciò che auspicabilmente indosserà l’uomo nel prossimo inverno, e a festa finita l’edizione maschile, a mio modesto parere, si è riconfermata interessante, portatrice di quel cambiamento, stilistico ma soprattutto concettuale, che spesso la donna stenta a manifestare. Siamo chiari, non è stata la volta del “wow factor”…non quello se non altro che monopolizza il web e la carta stampata stabilendo un trend irrinunciabile per gli addicted. Eppure grandi eventi, da prima ancora che partisse la settimana vera e propria, hanno scandito le cinque giornate che Milano dedica alle collezioni maschili. Penso a Marni, che già da Pitti è tornato a sfilare dopo cinque anni di assenza dalle passerelle, portando in scena una perfetta collisione di moda e arte nello scenario mozzafiato del Museo Marino Marini di Firenze, cornice scultorea per abiti in cui il lusso dei materiali e la formalità dei concetti sono stati reinterpretati con uno sguardo rilassato e leggero. È qui che si è inaugurato il mood portante della moda maschile. L’eleganza formale, uno stile misurato che tutto fa tranne che volgere uno sguardo nostalgico al passato. Mai più azzeccata la riflessione di Giorgio Armani a proposito della sua linea Emporio: “le nuove generazioni non compreranno mai un abito inglese”. E così anziché rinunciare all’eleganza tradizionale che contraddistingue l’abbigliamento maschile, se ne propongono nuove interpretazioni, sostituendo la rigidità dei materiali al morbido jersey, il tutto a costruire il suit 2.0.

Lo ha fatto anche MSGM, che ha tradotto la sua creatività variopinta e luminosa in capispalla strutturati e raffinati, dove sono il dettaglio e la perfetta vestibilità a fare la differenza e a dettare il modo in cui il capo va portato. Canali, l’abito formale per eccellenza, ha anch’esso modificato i propri codici per andare incontro a chi l’abito lo porterà domani, colorandolo e smorzando l’aspetto ingessato del classico completo a tre pezzi. Passando per Andrea Pompilio, con una rivisitazione dello sportswear sì, ma anni 50, per definizione quindi in perfetto dialogo con le costruzioni sartoriali tanto care al giovane designer. Per arrivare a Brioni, maestro di sartorialità che riporta, dopo averla sdoganata, la moda maschile in passerella: per primo lo aveva fatto, ben 70 anni fa, e adesso è tornato a sfilare con un meraviglioso evento al Castello Sforzesco di Milano. Il concetto è dunque quello di una moda più tradizionale rispetto al passato prossimo, dove è la sostanza a contare, ma che ognuno ha definito secondo la propria personalissima visione stilistica. Ferragamo ha ambientato il suo uomo in una foresta incantata, piena di delicati animali volanti che si posano sui lunghi trench-coat, quasi invisibili se non all’occhio più attento. Etro invece, con uno show perfetto dall’inizio alla fine, ha immaginato le storiche regge italiane, in cui a ogni sguardo si colgono nuovi dettagli: così anche nei capi, in cui la stampa c’è, ma si percepisce solo in controluce, cangiante sui preziosi velluti delle field jacket e dei morbidi completi da dandy. E in questo inno all’eleganza maschile, sottile e discreta, ma neanche poi tanto, un’altra tendenza, quella dell’eterna dicotomia tra maschile e femminile: una visione, quella di queste collezioni, talmente libera da rifiutare i ristretti codici maschili per importanti incursioni nel guardaroba di lei, soprattutto nelle proporzioni, che sempre più alternano lo skinny all’oversize, nella delicatezza dei materiali, e nella frivolezza di alcuni decori. Più di tutti: Gucci. L’attesissima passerella, palcoscenico di una collezione costruita in soli cinque giorni dall’ufficio stile al completo, dopo il prematuro addio di Frida Giannini, è stata il susseguirsi di un’alternanza uomo-donna dove difficilmente si riusciva a distinguere l’uno dall’altro. Il guardaroba di un giovinetto al primo giorno di scuola, imberbe ma già sicuro di sé e comprensivo del lusso sofisticato di chi da sempre lo ha respirato, dai mocassini-pantofole di pelliccia alle sete delle camicette con tanto di fiocco al collo. Forse ha calcato un po’ troppo la mano, ma sicuramente lo statement è stato chiaro.

In conclusione a un occhio distratto il tutto potrà essere sembrato sottotono. Persino fuori dalle sfilate non si vedevano più gli outfit urlati e provocatori di alcuni professionisti del web. Eppure a ben vedere la trasgressione forzata ha lasciato il posto al fatto bene, allo stile personale e alle visioni individuali. In una parola, alla sostanza.