Il design come passione, come bellezza, che racconta e coinvolge e, anno dopo anno, scrive una storia straordinaria. Moroso narra l’italianità del design da più di cinquant’anni, senza rinunciare, in ogni nuova collezione, ad aggiungere un tassello al grande mosaico della sua storia. Pensando a Moroso, ma al design in generale, è la poltrona la prima a saltare alla mente, il prodotto in cui si identifica la disciplina della progettazione. Con essa Moroso ha effettivamente creato questa disciplina, assoldando i designer più illuminati. Abbiamo allora dato uno sguardo all’evoluzione, nel campo, che l’azienda ha presentato al Salone del Mobile 2014. Ecco allora un ritorno all’essenzialità più assoluta: in Shell, di Benjamin Hubert, la struttura è un volume astratto definito solo da un sottile telaio in legno, semplice ed elementare, mentre l’ispirazione veneziana di Il Doge, di Giorgia Zanellato e Daniele Bortotto, si traduce in una sorta di triclinio, leggermente art nouveau, arricchito solamente da tessili e cuscini. Il futurismo anni Sessanta sembra invece rivivere nei progetti di Ross Lovegrove, che studia le forme geometriche e le plasma: Diatom è una mezza sfera in alluminio, la metà dello scheletro di diatomea, che con l’ausilio di tre gambe diventa seduta; Monolith assurge il cubo a immagine archetipa dell’immobilità e del pieno, e lo separa dalla sua origine con un tagli verticali netti, generando il vuoto senza negare il pieno. Comfort assoluto nella proposta di Patricia Urquiola, che con (love me)Tender del solido cerca la morbidezza, inseguendo così la sorpresa dei sensi, accresciuta dal telaio impossibile che, apparentemente sospeso sul pavimento, sembra sfidare la gravità.